L'iper-attribuzione di causalità come fattore vincente nell'evoluzione e come origine delle credenze magico-religiose

La tendenza a un'iperattribuzione delle caratteristiche di agen­te e di intenzione sembra un tratto tipico della nostra specie. [...] noi tendiamo naturalmente ad attribuire segni di intenziona­lità simil-umana alle cose più diverse, dalle nuvole agli uragani, dalle rocce ai treni e ai vulcani. È come se fossimo ipersensibili ai segnali di intenzionalità, specialmente a quelli convogliati dal mo­vimento. Ci sono buone ragioni evoluzionistiche per una tale ac­centuata sensibilità: meglio essere cauti che morti. È una buona idea, in generale, interpretare un ramo spezzato come segno del recente passaggio di un nemico o di un predatore, cioè di un agente causale, piuttosto che di un fenomeno fisico naturale, come l' azione del vento.

In generale, poi, tendiamo ad attribuire carattere di agente in­tenzionale a tutto ciò che presenta una struttura complessa e appa­rentemente non casuale. Questa tendenza fornisce ovviamente un sostegno cruciale dell'argomento basato sul disegno [il cosiddetto "disegno intelligente" dei neocreazionisti]. Quando vediamo una struttura complessa, noi la inter­pretiamo naturalmente come il prodotto degli intenti psicologici (desideri, scopi e obiettivi) del suo creatore. È come se guardassimo continuamente al mondo naturale con delle lenti psicologico-so­ciali. In questo modo, la nostra attrezzatura biologicamente predisposta alla lettura intenzionale di una porzione della realtà, quella relativa agli oggetti animati, che è stata resa possibile dal lavoro di scultura delle nostre menti da parte della selezione naturale, è la stessa che, paradossalmente, ci rende così difficile capire e accettare il meccanismo di funzionamento della selezione naturale.

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Se la persuasività del creazionismo è legata al fatto che esso fa risuo­nare le corde dei nostri adattamenti biologici per la psicologia intui­tiva, allora dovremmo anche aspettarci che l'inclinazione a vedere un progetto intenzionale nel mondo naturale (e in quello artificiale) sia presente nel bambino ancor di più che nell'adulto. Chi sa di scienza comprende che vi sono oggetti per i quali non ha senso chiedersi quale sia il loro scopo, la loro funzione. Non ha funzione una nuvola come un cirro o un cumulonembo. Il meteorologo direbbe che un cumulonembo è quello che è, con una certa forma e determinate proprietà fisiche, quale risultato di certe condizioni al contorno. Ma se parliamo degli artigli di un gatto è sensato, anzi, come notava Kon­rad Lorenz, doveroso per un biologo, osservare che essi servono (tra le altre cose) per catturare i topi. Le spiegazioni funzionali in biologia sono imprescindibili. Il biologo francese Jacques Monod (1910-1976) diceva che i viventi sono sistemi "teleonomici" , cioè sistemi la cui struttura è indirizzata a uno scopo, a una funzione. Ma non perché la funzione della struttura sia il risultato del progetto intenzionale di un artefice. La funzione è il risultato operativo dell'agire della sele­zione naturale. Se questo è difficile da afferrare per gli adulti, anche quando hanno avuto una qualche istruzione formale, lo è ancor di più per i bambini piccoli, i quali insistono a sostenere che è lecito in­terrogarsi sulle funzioni di nuvole, scale e pietre. A quattro anni, af­ferma la psicologa Deborah Kelemen, i bambini ritengono che tutto ciò che esiste sia stato realizzato per uno scopo. [...] essi mostrano, per usare la sua espressione, una te­leologia promiscua e appaiono essere dei teisti intuitivi. Bisogna nota­re che il teismo, la credenza in una divinità personale, è qualcosa di diverso dal semplice pensare in termini teleologici. I bambini po­trebbero pensare in termini teleologici senza essere dei teisti intuitivi. Vediamo di capire perché non è così.

La ricerca sul cosiddetto "ragionamento teleologico" nei bambini - la tendenza a ragionare su entità ed eventi in termini di "scopi" e "funzioni" - si è sviluppata inizialmente nell'ambito degli studi sulla cosiddetta "biologia intuitiva" (folk biology) , cioè sul modo in cui si struttura il pensiero infantile attorno ai fenomeni del mondo vivente. Si è così potuto osservare come il ragionamento dei bambini sulle cose viventi sia vincolato da assunzioni teleologiche. 

[...] è emerso dalle ricerche che i bambini trattano non solo il mondo biologico, ma anche quello non biologi­co in termini teleologici. A differenza degli adulti, i bambini di quat­tro-cinque anni trovano sensate le domande in termini di scopi e funzioni relativamente non solo alle parti del corpo (a cosa serve la mano?) o agli artefatti (a cosa serve il martello?), ma agli organismi tutti interi (a cosa serve un leone? Serve per andare allo zoo) o alle cose naturali non biologiche (a cosa servono le nuvole? Servono per piovere). E, ancora, se richiesti di specificare se la pioggia è quello che «la nuvola fa» o se è invece quello che «la nuvola è fatta per fare», i bambini di quest'età adottano senza dubbi il punto di vista per cui le entità naturali sono «fatte per qualcosa» e che questa è la ragione per cui esse sono qui. In altre parole, i bambini concepiscono i feno­meni naturali come qualcosa di progettato intenzionalmente non dalle persone, ma da entità che non sono umane

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Tuttavia bisogna intendersi bene su queste faccende. Non stiamo qua argomentando che il pensiero magico-religioso e sovrannaturalisti­co sia il modo di pensare dei bambini, nel senso cioè di sminuirne la portata considerandolo un pensiero immaturo rispetto al pensiero lo­gico e razionale dell'adulto. Al contrario, vogliamo dire che le credenze sovrannaturalistiche affondano le loro radici in alcuni meccanismi, quelli della psicologia intuitiva, che sono parte integrante dei nostri nor­mali processi cognitivi; che sono anzi così importanti da definire la na­tura stessa della nostra umanità (giacché il modulo per l'attribuzione di stati mentali agli altri individui, come abbiamo visto, raggiunge la sua massima sofisticatezza nella nostra specie) e che nel caso in cui siano as­senti o deficitari a causa di una patologia, come nell'autismo, rendono problematica la stessa sopravvivenza. Le credenze sovrannaturalistiche perciò non debbono essere considerate sinonimo di immaturità menta­le, bensì il sottoprodotto naturale di una mente che si è evoluta per pensare in termini di obiettivi e intenzioni.

In effetti alcune ricerche recenti suggeriscono come le concezioni ingenue, spontanee del mondo, veicolate dalla nostra fisica e psicologia intuitiva, siano qualcosa che permane nella mente e che non se ne va con l'età adulta [...]. Naturalmente nell'età adulta nuovi sistemi di credenze causali, veicolati dall'istruzione e in generale dalle conoscenze che si acquisiscono, possono, per così dire, mettere la sordina alla musica suonata dai moduli predisposti dalla nostra biologia, ma non riescono a tacitarla. Infatti le concezioni intuitive possono ri­emergere quando questi sistemi di credenze vengono per qualche ragione inibiti o danneggiati [e qui vengono citati i casi dei malati di Alzheimer, dei gruppi etnici a bassa scolarizzazione, di soggetti normali costretti a fornire risposte in tempi rapidi].

[...] è interessante osservare che l'integrazione delle cono­scenze tra i due domini, quello fisico e quello psicologico, non sembra mai essere completa, neanche negli adulti. La maggior par­te delle persone, sebbene sia disposta ad accettare che gli oggetti animati condividono alcune proprietà degli oggetti fisici, non sem­bra disposta ad ammettere che noi siamo degli oggetti fisici, rite­nendo piuttosto di occupare un oggetto fisico, il proprio corpo. Molte persone credono, infatti, che vi siano oggetti animati, per  esempio i santi, che possono violare completamente i principi uni­versali cui soggiacciono gli oggetti fisici, compiendo miracoli, o che in vario modo le creature intenzionali possano sopravvivere alla distruzione dei loro corpi fisici (per esempio nella loro componente di anima immateriale oppure risorgendo come corpi fisici dopo la morte). [...] la possibilità di trattare gli oggetti fisici come entità separate dagli oggetti animati consente anche di concepire corpi privi di menti (gli zombie) e menti prive di corpo (le anime). I due moduli della fisica intuitiva e della psicologia intuitiva sembrano predispor­ci quindi a essere "naturalmente dualisti" , cioè a dividere il mondo in due entità, corpi (oggetti fisici) e anime (oggetti spirituali).

Tutte le culture sembrano possedere dei sistemi di credenze che implicano un qualche genere di sopravvivenza dell'anima o dello spirito dopo la morte. Ciò sembra essere la naturale conseguenza della credenza di abitare il corpo, l'oggetto fisico, come creature in­tenzionali e di non essere il corpo stesso. Di fronte al problema della morte tale soluzione appare naturalmente, senza dipendere dall'espe­rienza o da un processo di acquisizione culturale, sebbene culture di­verse possano fornire dettagli diversissimi alla sopravvivenza del sé dopo la morte - dalla resurrezione dei morti, corpi compresi (ma che età avrà il corpo dei risorti? Quello del momento della morte?), alla trasmigrazione dell'anima nel corpo di altre creature, umane o animali. I bambini spontaneamente divengono credenti nell'aldilà quando affrontano il problema della morte.

Lo psicologo Jesse Bering ha interrogato bimbi tra i quattro e i sei anni di età che avevano udito la storia di un topo che moriva divorato da un alligatore: essi valutavano correttamente gli esiti corporali-biologici dell'evento luttuoso (il topo morto non va più in bagno, i suoi occhi non funzionano più e neppure il suo cervel­lo), ma persistevano nel mantenere inalterate le funzioni mentali (il topo sente ancora fame, può essere triste perché è morto ed è contento se lo seppelliamo con un po' del suo formaggio preferi­to). Ancora una volta, quel che si vuole sostenere non è che gli adulti che credono nella sopravvivenza dell'anima o di qualche suo equivalente dopo la morte siano come dei bimbi, con una modalità di pensiero imperfetta e non totalmente sviluppata (come quella che veniva attribuita ai cosiddetti popoli primitivi, secondo una tradizionale linea di pensiero dell'antropologia cultu­rale iniziata da Lucien Lévy-Bruhl). No, niente di tutto questo. Casomai possiamo sostenere che questi adulti pensano benissimo; per meglio dire, pensano nel modo in cui sono stati costruiti per farlo dalla selezione naturale. Non potrebbero pensare altrimenti. Sviluppare una concezione monistica dei rapporti tra corpo e mente è un processo intellettuale che richiede un grande sforzo e che deve fare i conti quotidianamente, anche nella vita di uno scienziato cognitivo, con le profonde radici biologiche del nostro dualismo intuitivo. Noi sappiamo che questo libro è il risultato, tra le altre cose, del lavorìo dei neuroni dei nostri tre cervelli . Eppure facciamo fatica a non pensare che in realtà sia stato scritto da noi, non dai nostri cervelli. (E, per molti aspetti, questa seconda versio­ne coglie meglio la realtà dei fatti.)


Vittorio Girotto, Telmo Pievani e Giorgio Vallortigara, Nati per credere. Perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin, Codice, 2008, pp. 92-102 [Con molti tagli. I commenti tra parentesi quadre sono miei, come pure le sottolineature].

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